giovedì 18 dicembre 2014

A Renata

Carissima signorina Tebaldi,

non abbiamo mai avuto la fortuna di conoscerci (ma non ne sono tanto sicuro, perché ogni parola che ha cantato mi entra dentro e parla al mio cuore), ma le scrivo per dirle che la mia vita senza il suo canto non sarebbe la stessa; non mi consideri esagerato se le dico questo: se una giornata è buia so che posso sempre contare su di lei per scacciare le nuvole, se sono agitato so che la sua voce carezzevole mi calmerà, mentre se già sono felice ascoltarla è il modo per suggellare questo stato.

Dieci anni fa lei se ne andava, qualche mese dopo io la ascoltavo per la prima volta e mi innamoravo del canto... il suo Addio del passato e il Tacea la notte placida mi fecero scoprire una voce e una dolcezza incredibili, da cui non mi son mai più potuto allontanare.
Questo paese che vive di ignoranza non la ricorderà ufficialmente come dovrebbe, ma, e questo è molto più bello, la ricorderanno tutte le persone alle quali la sua voce ha parlato e trasmesso emozioni almeno una volta.

Vorrei elencarle tutte le cose che amo cantate da lei, ma non finirei più! Dovrei ricordare quante volte ho pianto insieme alla sua Adriana, quante volte son rimasto senza fiato nell'ascoltare il suo Vissi d'arte con Mitropoulos, oppure dire quale emozione sia trovarsi davanti la sua esecuzione del Libera me domine di Verdi... beh, mi creda, non basterebbe una pagina grande come il mare, come il mare profonda ed infinita, come cantava inimitabile la sua Mimì.

E non posso nemmeno dirle perché il suo canto parli così tanto al mio cuore, è una cosa che va oltre la perfezione dei suoni, è come i sentimenti che non hanno un vero perché... possiamo trovar loro mille spiegazioni, ma nessuna è quella che li definisce e nessuna è necessaria alla loro esistenza.

Le basti un grandissimo grazie, chi dona emozioni dona la cosa più bella ed importante del mondo, e lei me ne ha regalate tante.

Un grande  abbraccio,
A.


lunedì 8 settembre 2014

Del verso io son l’accento, l’eco del dramma uman

Qualche anno fa accesi un video su youtube: una anziana signora vestita di verde stava in piedi vicino al pianoforte che scandiva gli accordi iniziali di "Sola, perduta, abbandonata" della Manon Lescaut. 
Io, ignorante, pensai: sarà la solita cantante che non riesce a staccarsi dal palcoscenico nemmeno ad 80 anni.

Inizia a cantare, si toglie gli occhiali e si vede che è il personaggio, non lo sta semplicemente interpretando; davanti a me non c'è più una donna di 83 anni, c'è la giovane Manon disperata e sola nel deserto: le parole sono scolpite, l'interpretazione viva e trascinante fino a quella pausa, a quello sguardo che fa tremare perché è La disperazione, a quel sussurro strozzato in gola dall'angoscia: "No! Non voglio morir!".
Quel giorno mi innamorai di un'aria che fino ad allora detestavo, e iniziai ad adorare una cantante: Magda Olivero.


Se proprio si vuole descrivere ciò che la Olivero ha rappresentato per il mondo dell'opera a parole penso che si possa ricorrere ai versi detti dalla sua amata Adriana Lecouvreur:
"Del verso io son l'accento, 
l'eco del dramma uman"

lei è stata (via, lo è ancora, perché la morte non cancella l'arte) quell'accento pieno di verità, di vita, di intensità che ha portato a vivere i personaggi ai quali si è accostata; quando un personaggio è cantato da lei prende forma fisica, vive, soffre, sorride e muore, il canto è il mezzo naturale attraverso il quale si esprime, come se stesse parlando (e cos'è l'opera se non questo?).


Dopo aver ascoltato il finale di Adriana mi viene in mente un'altra grande interpretazione: il finale di Fedora, con quei suoni sussurrati che che si spengono sempre più mentre la vita abbandona la protagonista; la parte finale, (quel "Vorrei ancora un po' del tuo amor"!) è un capolavoro assoluto che deve rimanere nella storia dell'opera:


E possiamo dimenticare quanto è sorprendente la sua Medea? Nell'aria "Dei tuoi figli la madre" quel "Torna a me! Torna sposo per me!" che è sì una supplica, ma intrisa dell'orgoglio offeso della maga.

 Anche se purtroppo non ci ha lasciato una registrazione integrale di Traviata abbiamo per fortuna ampie selezioni, che ci permettono di ascoltare una delle più grandi interpretazioni del difficile personaggio, che ha proprio bisogno non solo di una tecnica salda, ma soprattutto di una interprete che riesca ad esprimere completamente i suoi vari aspetti: le finzioni del primo atto, il sacrificio, la disperazione, e l'amore vero venato di dolore per le offese ricevute nel secondo, e infine la consapevolezza della morte vicina e la speranza infranta del terzo.


Voglio chiudere con la partita a poker della Fanciulla del west; Minnie è un altro dei tanti capolavori di questa grande artista, e in particolare questa pagina è ricca di espressività: dall'ansia all'inganno, fino al trionfo finale, che parte con delle risate isteriche che per la scarica dell'ansia si tramutano in pianto. Una scena così non poteva chiedere di meglio che essere interpretata dalla Olivero.


Non si può che ringraziare sinceramente questa artista che si è così tanto e per così tanti anni donata al pubblico, con la capacità di far nascere grandi emozioni ad ogni parola e ad ogni gesto, lasciando un grande esempio di umiltà e arte.


  





sabato 16 agosto 2014

Goodbye Licia!

Cos'è che mi attrae così tanto nelle registrazioni di Licia Albanese?
Me lo sono chiesto molte volte, in fondo il timbro non è dei più belli, non è una di quelle voci che si fanno strada nel cuore dell'ascoltatore semplicemente per le loro qualità naturali; ma allora cos'è che entra in me, che mi rende felice quando la ascolto?
È ciò che credo sia stata la firma di questa grande artista, la caratteristica che la rende unica: la sua grinta.


Ieri Licia Albanese si è spenta, avesse 101 o 105 anni (la data di nascita non è sicura), importa poco; non importa perché rimarrà per me sempre una delle artiste più giovani e vitali della storia dell'Opera, una di quelle che riuscivano veramente a dar vita ai personaggi che cantavano: una Violetta intensissima, una Liù di rara delicatezza, una Manon Lescaut seducente, una grande Butterfly... non posso elencare tutti i ruoli in cui ha lasciato un segno, anche perché il suo repertorio è vario, ma proporrò alcune delle registrazioni che a me piacciono di più.

Il suo canto, pur non dimenticando il legato, è sempre pronunciato! Quanto c'è bisogno oggi del suo esempio, quando in teatro ci tocca ascoltare dei divi acclamati produrre dei suoni gonfiati senza la minima pronuncia e senza che sappiano dare un minimo di valore alle parole che stanno cantando! 
Ogni parola ha un significato, un valore, non solo un'intonazione, e i grandi e veri artisti come l'Albanese questo lo sanno bene.


Bisognerebbe capire che questo non è il passato dell'Opera lirica, ma il suo futuro; solo se si ricomincierà a vedere cantanti come Licia Albanese come esempi positivi questo genere si salverà dalla totale snaturazione che sta subendo da anni: ascoltate in questo finale della "sua" Butterfly come non ci sia nessun suono ingrossato, come tutto sia pronunciato, recitato e cantato allo stesso tempo; e sì che la voce dell'Albanese non sembra enorme e la parte è molto impegnativa, ma questo non le impadisce di cantare con la propria voce, non con una voce ingrossata e costruita come va di moda oggi.


Scolpire la parola, interpretare, non vuol dire perdere legato e dinamiche, anzi, in questa stupenda registrazione del finale della Bohème si sente bene come tutto risulti bello, libero e spontaneo, come se semplicemente si stesse recitando cantando invece che parlando. Come in effetti dovrebbe essere.


Beh, questo pezzo mi lascia sempre senza parole, e quindi penso sia il momento di chiudere questo post. 
Signora Licia, grazie, grazie, grazie per le emozioni che ci trasmette sempre con intensità, e che sono sempre forti e attuali anche dopo decenni dalla data di incisione, e grazie per il grande esempio che ha lasciato a disposizione di tutti quelli che ne vogliono usufruire.
Vi saluto con un'aria del suo (e mio) amato Puccini:



sabato 26 luglio 2014

O Carlo, ascolta...

Nove anni fa, rovistando in casa, trovavo una audiocassetta di arie d'opera, regalata con un giornale e ancora sigillata; essendomi appena avvicinato all'opera ero curiosissimo, non conoscevo le tre opere da cui provenivano le arie (Rigoletto, Trovatore e Traviata): la aprii e la ascoltai.
Sul lato B ascoltai due voci che mi entusiasmarono: la prima, femminile, cantava Addio del passato e Tacea la notte placida, la seconda, maschile, cantava Ah sì, ben mio; le ascoltai così tanto da imparare i testi e iniziai a cantare insieme a loro che mi davano così tante emozioni.
Quei due cantanti sono ancora nel mio cuore, e si chiamano Renata Tebaldi e Carlo Bergonzi.
Il Maestro Bergonzi si è spento ieri, proprio nell'anno che segna i dieci anni dalla scomparsa di Renata; voglio scrivere qui almeno un po' di ciò che il suo Canto mi ha trasmesso.


Il Canto di Carlo Bergonzi è uno dei più eleganti che abbiamo avuto l'occasione di sentire a partire dagli anni '50; in quel momento le sorti dell'Opera iniziavano a dividersi ancora più spiccatamente di prima su due strade: una di esse, l'unica di valore, continuava nel solco dei grandi cantanti del passato, che avevano dimostrato che l'interpretazione passava attraverso una vera e forte preparazione tecnica, che permetteva un canto dalle mille sfumature ed espressioni; la seconda, quella che purtroppo ancora oggi va per la maggiore, portava all'urlo, all'effettaccio, ai berci, alle voci ingrossate ed ingolate, i tratti sgradevoli delle quali vengono scambiati per interpretazione, quando invece sono sintomi di ignoranza tecnica.

Bergonzi si colloca senza dubbio sulla prima strada, con una tecnica studiata che gli ha permesso di interpretare in modo eccellente partiture che prevedono pesi vocali differenti, mantenendo sempre una grande eleganza.

Voglio partire proprio dal primo ascolto che feci di questo Grande Artista, che è una delle vette nella storia dell'interpretazione verdiana: Ah sì, ben mio da Il trovatore:


E l'eleganza appena ascoltata gli ha permesso di affrontare anche il ruolo del Duca di Mantova con risultati sorprendenti che mi lasciarono sbalordito al primo ascolto: non mi sarei mai aspettato che una voce così scura sarebbe riuscita a dare un'interpretazione di livello altissimo di questa parte:

Continuando sulle belle sorprese che Bergonzi mi ha fatto non posso fare a meno di parlare del suo Edgardo nella Lucia di Lammermoor. In tutta l'opera l'interpretazione di Bergonzi è una delle più belle e ben cantate che si possano ascoltare, fino ad arrivare ad un Tu che a Dio spiegasti l'ali mozzafiato e meraviglioso:



Un tenore meraviglioso in Verdi, ma non solo, come abbiamo appena potuto ascoltare; ed è stato un grande interprete anche della Madama Butterfly di Puccini, della quale voglio proporre il duetto Bimba dagli occhi pieni di malia:


Voglio concludere questo piccolo ricordo con il duetto dei Pescatori di perle, cantato insieme ad un altro cantante che tengo nel cuore, Dietrich Fischer-Dieskau:
Questi pochi ascolti non rappresentano tutto quello che è stato e che continuerà ad essere per la Musica Carlo Bergonzi, sono solo un piccolo ricordo costituito dalle pagine di questo interprete che più mi son rimaste nel cuore.
O Carlo, ascolta... grazie per tutto ciò che ci hai dato, grazie per il tuo canto, grazie per le emozioni, le lacrime e i sorrisi.


mercoledì 26 febbraio 2014

Carla Gavazzi, un soprano da ricordare

Il 26 Febbraio 1913 nasceva Carla Gavazzi, soprano oggi poco ricordato ma che ci ha lasciato alcune belle incisioni. Ha infatti registrato per la Cetra La fanciulla del West, Adriana Lecouvreur, Pagliacci, Don Giovanni ed è stata Santuzza nella versione film di Cavalleria rusticana del 1957.


Davvero notevole è il ritratto che ci ha lasciato del non semplice ruolo di Minnie ne La fanciulla del West; la sua è una Minnie che riesce ad unire grinta, dolcezza e forza d'animo, mescolando tutto con un canto piacevole ed espressivo.
Propongo l'ascolto della scena con Rance e della successiva partita a poker del Secondo Atto, significativo esempio del valore di questa interpretazione.





Anche l'interpretazione di Adriana Lecouvreur è pregevole, e la vede insieme a Saturno Meletti e Giacinto Prandelli; ecco l'aria Poveri fiori e il finale dell'opera:




Per quanto riguarda l'incisione di Pagliacci voglio proporre l'ascolto del finale dell'opera, nel quale la Gavazzi canta a fianco del grande Carlo Bergonzi.


Di Cavalleria rusticana ascoltiamo l'aria Voi lo sapete, o mamma, con il video del film:


Concludo questo post, con il quale spero di aver un po' contribuito a ricordare questa valida cantante, con la scena ed aria di Donna Elvira dal Don Giovanni, che magari suonerà un po' strana a chi è abituato ad esecuzioni filologiche o a cantanti esangui impegnati in Mozart: