venerdì 24 agosto 2012

La Traviata: analisi della prima parte del Secondo Atto

Il II atto si apre sulla casa dove Violetta e Alfredo hanno deciso di ritirarsi a vivere il loro Amore. Mentre Alfredo pensa ai benefici effetti del sentimento che li unisce entra affannata Annina; Alfredo riesce a farsi dire dalla cameriera che la sua padrona sta cercando di vendere i propri ultimi beni rimasti a Parigi per poter sostenere le spese che la nuova sistemazione comporta.
Alfredo non può sopportare l'idea che Violetta si sacrifichi per mantenerlo, e si lancia in una vibrante cabaletta:


 ALFREDO
Lunge da lei per me non v'ha diletto!
Volaron già tre lune
Dacché la mia Violetta
Agi per me lasciò, dovizie, onori,
E le pompose feste
Ove, agli omaggi avvezza,
Vedea schiavo ciascun di sua bellezza
Ed or contenta in questi ameni luoghi
Tutto scorda per me. Qui presso a lei
Io rinascer mi sento,
E dal soffio d'amor rigenerato
Scordo ne' gaudii suoi tutto il passato.
De' miei bollenti spiriti
Il giovanile ardore
Ella temprò col placido
Sorriso dell'amore!
Dal dì che disse: vivere
Io voglio a te fedel,
Dell'universo immemore
Io vivo quasi in ciel.
Annina, donde vieni?
ANNINA
Da Parigi.
ALFREDO
Chi tel commise?
ANNINA
Fu la mia signora.
ALFREDO
Perché?
ANNINA
Per alienar cavalli, cocchi,
E quanto ancor possiede.
ALFREDO
Che mai sento!
ANNINA
Lo spendio è grande a viver qui solinghi
ALFREDO
E tacevi?
ANNINA
Mi fu il silenzio imposto.
ALFREDO
Imposto! or v'abbisogna?
ANNINA
Mille luigi.
ALFREDO
Or vanne andrò a Parigi.
Questo colloquio non sappia la signora.
Il tutto valgo a riparare ancora.
O mio rimorso! O infamia
e vissi in tale errore?
Ma il turpe sogno a frangere
il ver mi balenò.
Per poco in seno acquétati,
o grido dell'onore;
M'avrai securo vindice;
quest'onta laverò.

Alfredo parte per mettere a posto la situazione risvegliato dal grido dell'onore; forse avrebbe fatto meglio a porgere l'orecchio ed ascoltare il cuore di Violetta.
Mentre Violetta sta aspettando un uomo d'affari si fa avanti un nuovo personaggio: Giorgio Germont, padre di Alfredo; entra prepotentemente, accusando subito Violetta, e quando lei gli mostra il sacrificio economico che sta compiendo rimane sorpreso. Venute meno tutte le motivazioni che avrebbe voluto addurre per far separare i due giovani, egli fa presente a Violetta che la sorella di Alfredo dovrà rinunciare al matrimonio in caso non finisse la loro relazione sconveniente per il passato di lei (che Giorgio non può dimenticare nemmeno in virtù dei suoi sacrifici). Violetta pensa ad una separazione momentanea, ma lui le sta chiedendo molto di più e alla fine riesce a convincerla, contrapponendo in maniera assurda la relazione sacra ed eterna della figlia con la relazione secondo lui traviata, e per questo temporanea, tra lei ed Alfredo. Violetta accetta di sacrificare l'unica cosa che ha al mondo, a patto però che nel momento in cui lei morirà Alfredo venga a conoscenza del suo sacrificio:


 VIOLETTA
a Germont, piangendo
Dite alla giovine - sì bella e pura

Ch'avvi una vittima - della sventura,
Cui resta un unico - raggio di bene
Che a lei il sacrifica - e che morrà!
GERMONT
Sì, piangi, o misera - supremo, il veggo,
È il sacrificio - ch'ora io ti chieggo.
Sento nell'anima - già le tue pene;
Coraggio e il nobile - cor vincerà.
Silenzio
VIOLETTA
Or imponete.
GERMONT
Non amarlo ditegli.
VIOLETTA
Nol crederà.
GERMONT
Partite.
VIOLETTA
Seguirammi.
GERMONT
Allor...
VIOLETTA
Qual figlia m'abbracciate forte
Così sarò.
S'abbracciano
Tra breve ei vi fia reso,

Ma afflitto oltre ogni dire. A suo conforto
Di colà volerete.
Indicandogli il giardino, va per scrivere
GERMONT
Che pensate?
VIOLETTA
Sapendol, v'opporreste al pensier mio.
GERMONT
Generosa! e per voi che far poss'io?
VIOLETTA
tornando a lui
Morrò! la mia memoria

Non fia ch'ei maledica,
Se le mie pene orribili
Vi sia chi almen gli dica.
GERMONT
No, generosa, vivere,
E lieta voi dovrete,
Merce' di queste lagrime
Dal cielo un giorno avrete.
VIOLETTA
Conosca il sacrifizio
Ch'io consumai d'amor
Che sarà suo fin l'ultimo
Sospiro del mio cor.
GERMONT
Premiato il sacrifizio
Sarà del vostro amor;
D'un opra così nobile
Sarete fiera allor.
VIOLETTA
Qui giunge alcun: partite!
GERMONT
Ah, grato v'è il cor mio!
VIOLETTA
Non ci vedrem più forse.
S'abbracciano
A DUE:
Siate felice Addio!


Un amico mi ha invitato a riflettere su questo duetto, che è il momento centrale dell'opera e troverà pieno sfogo nell'Amami Alfredo successivo, e mi ha proposto un interessante punto di vista: questo momento vede il confronto di due emarginati, una cortigiana ed un borghese di provincia; quest'ultimo è attaccato ai valori perbenisti della borghesia e ai suoi miti, mentre Violetta ha il desiderio di avvicinarsi ad una società per bene che le è preclusa a causa del proprio passato. Il momento stesso in cui lei si avvicina di più a questa società è il momento del massimo sacrificio, ad ulteriore conferma del fatto che non c'è un posto per lei felice nella borghesia per bene, ma un posto di sofferenza, Quasi che gli uomini le chiedano una dolorosa penitenza.

Partito Giorgio Violetta inizia a scrivere una lettera di addio ad Alfredo e si appresta a partire; Alfredo però la vede scrivere e si insospettisce, le racconta dell'arrivo di suo padre in città, le dice che sarà felice di conoscerla. Violetta è presa dal panico, sa che deve andarsene ma nello stesso tempo ha anche un piccolo moto di rivolta, pensa di poter pregar Giorgio affinché li lasci vivere insieme... la sua fine però è già decisa: saluta Alfredo con un addio tristissimo che lui non sa e non può capire ed esce di scena.


VIOLETTA
Dammi tu forza, o cielo!
Siede, scrive, poi suona il campanello
ANNINA
Mi richiedeste?
VIOLETTA
Sì, reca tu stessa
Questo foglio
ANNINA
ne guarda la direzione e se ne mostra sorpresa
VIOLETTA
Silenzio và all'istante
Annina parte
Ed ora si scriva a lui
Che gli dirò? Chi men darà il coraggio?
Scrive e poi suggella
ALFREDO
entrando
Che fai?
VIOLETTA
nascondendo la lettera
Nulla.
ALFREDO
Scrivevi?
VIOLETTA
confusa
Sì... no.
ALFREDO
Qual turbamento! a chi scrivevi?
VIOLETTA
A te.
ALFREDO
Dammi quel foglio.
VIOLETTA
No, per ora
ALFREDO
Mi perdona son io preoccupato.
VIOLETTA
alzandosi
Che fu?
ALFREDO
Giunse mio padre
VIOLETTA
Lo vedesti?
ALFREDO
Ah no: severo scritto mi lasciava
Però l'attendo, t'amerà in vederti.
VIOLETTA
molto agitata
Ch'ei qui non mi sorprenda
Lascia che m'allontani... tu lo calma
mal frenato il pianto
Ai piedi suoi mi getterò divisi
Ei più non ne vorrà sarem felici
Perché tu m'ami, Alfredo, non è vero?
ALFREDO
O, quanto...
Perché piangi?
VIOLETTA
Di lagrime avea d'uopo or son tranquilla
sforzandosi
Lo vedi? ti sorrido
Sarò là, tra quei fior presso a te sempre.
Amami, Alfredo, quant'io t'amo Addio.
Corre in giardino

Alfredo non capisce cosa Violetta gli sta dicendo col suo saluto, ma ben presto gli viene recapitata la lettera, consegnata da Violetta ad un commissionario mentre si reca a Parigi; appena la legge scoppia in un grido di dolore e compare subito Giorgio a sorreggerlo e ad implorarlo di asciugarsi il pianto (con una frase, "ritorna di tuo padre orgoglio e vanto", che è tanto priva di tatto quanto sgradevole, un rimprovero spacciato per consolazione).


  GERMONT
Di Provenza il mar, il suol - chi dal cor ti cancello?
Al natio fulgente sol - qual destino ti furò?
Oh, rammenta pur nel duol - ch'ivi gioia a te brillò;
E che pace colà sol - su te splendere ancor può.
Dio mi guidò!
Ah! il tuo vecchio genitor - tu non sai quanto soffrì
Te lontano, di squallor il suo tetto si coprì
Ma se alfin ti trovo ancor, - se in me speme non fallì,
Se la voce dell'onor - in te appien non ammutì,
Dio m'esaudì!
abbracciandolo

Alfredo però ha ben altro a cui pensare, si sente divorare il petto da serpi, il suo orgoglio è ferito e pensa già alla vendetta. Giorgio lo vuole distogliere da questo pensiero, e lo fa con una cabaletta purtroppo spesso tagliata, una supplica al figlio sempre però intrisa di un rimprovero di fondo, tanto per sottolineare che non ha mai agito per il vero bene del figlio e che ora non vuole lasciarsi sfuggire l'occasione di poter riportarlo a casa e così togliere lo sdegno dal proprio nome.
 

ALFREDO
Mille serpi divoranmi il petto
respingendo il padre
Mi lasciate.
GERMONT
Lasciarti!
ALFREDO
risoluto
(Oh vendetta!)
GERMONT
Non più indugi; partiamo t'affretta
ALFREDO
(Ah, fu Douphol!)
GERMONT
M'ascolti tu?
ALFREDO
No.
GERMONT
Dunque invano trovato t'avrò!
No, non udrai rimproveri;
Copriam d'oblio il passato;
L'amor che m'ha guidato,
Sa tutto perdonar.
Vieni, i tuoi cari in giubilo
Con me rivedi ancora:
A chi penò finora
Tal gioia non negar.
Un padre ed una suora
T'affretta a consolar.
ALFREDO
Scuotendosi, getta a caso gli occhi sulla tavola, vede la lettera di Flora, esclama:
Ah! ell'è alla festa! volisi
L'offesa a vendicar.
Fugge precipitoso
GERMONT
Che dici? Ah, ferma!
Lo insegue

L'invito alla festa di Flora trovato sul tavolo è la pista su cui Alfredo si lancia ad inseguire Violetta. Il suo amore eterno è svanito molto in fretta e sorprende un po' che si metta subito a pensare alla vendetta, che sospetti subito una relazione col barone Douphol; forse non si è mai allontanato dalla visione di Violetta come di una cortigiana, non è mai riuscito a reputarla veramente una "persona normale", degna della massima fiducia.

-Separarci Margherita? Ma chi potrà separarci?- gridai.
-Tu, tu che non vuoi ch'io mi renda conto della tua posizione, e hai la vanità di mantenere a me la mia: tu che, conservandomi il lusso nel quale vivevo, conservi la distanza morale che ci separa: tu, infine, che non giudichi il mio affetto abbastanza disinteressato per dividere con me quello che possiedi, e basterebbe a vivere insieme felici, mentre preferisci rovinarti, schiavo di un pregiudizio ridicolo. [...]
Tu sei indipendente, io libera, e siamo giovani: in nome di Dio, Armando, non ricacciarmi nella vita che fui costretta a condurre un giorno.
(Alexandre Dumas figlio, La signora delle camelie, cap. XIX)








sabato 30 giugno 2012

La traviata - Analisi del Primo Atto


Cominciamo ad analizzare l'opera.


Il preludio inizia con un tema che verrà ripreso nel III atto, per arrivare poi al celebre tema dell'Amami Alfredo del II atto: sembra quasi che introduca il I e il II atto come se fossero i ricordi che Violetta ripercorre nell'oscurità della sua stanza nel III atto, appena prima di chiedere un po' d'acqua ad Annina.

Il sipario si apre poi sulla festa in casa di Violetta, con una musica brillante e allegra; le viene presentato Alfredo e apprende che egli si era recato ad informarsi del suo stato di salute ogni giorno in un periodo in cui era ammalata.
Si inizia anche a capire il tipo di relazioni che caratterizzano questo ambiente (T'ho detto: L'amistà qui s'intreccia al diletto).
Arriva il momento del Brindisi, che purtroppo potrà sembrare un momento banale, in quanto se ne è abusato in concerti, concertini e pubblicità televisive di ogni tipo; cerchiamo invece di ascoltare cosa ci dicono Violetta e Alfredo:



ALFREDO
Libiam ne' lieti calici
Che la bellezza infiora,
E la fuggevol ora
S'inebri a voluttà.
Libiam ne' dolci fremiti
Che suscita l'amore,
Poiché quell'occhio al core
indicando Violetta
Onnipotente va.
Libiamo, amor fra i calici
Più caldi baci avrà.
TUTTI
Libiamo, amor fra i calici
Più caldi baci avrà.
VIOLETTA
S'alza
Tra voi saprò dividere
Il tempo mio giocondo;
Tutto è follia nel mondo
Ciò che non è piacer.
Godiam, fugace e rapido
È il gaudio dell'amore;
È un fior che nasce e muore,
Né più si può goder.
Godiam c'invita un fervido
Accento lusinghier.
TUTTI
Godiam la tazza e il cantico
La notte abbella e il riso;
In questo paradiso
Ne scopra il nuovo dì.
VIOLETTA
ad Alfredo
La vita è nel tripudio.
ALFREDO
a Violetta
Quando non s'ami ancora.
VIOLETTA
ad Alfredo
Nol dite a chi l'ignora.
ALFREDO
a Violetta
È il mio destin così
TUTTI
Godiam la tazza e il cantico
La notte abbella e il riso;
In questo paradiso
Ne scopra il nuovo dì.

Mentre Alfredo comincia a parlare d'Amore, Violetta ancora non può accettare di essere davvero amata ed espone ciò in cui consiste la sua vita: un susseguirsi di passione e piacere, tanto veloce quanto vuoto. Infine dice di ignorare cosa voglia dire amare. Questo duetto con coro mostra l'amara consapevolezza che Violetta ha della propria condizione: è un oggetto che i suoi clienti si dividono, clienti che sono interessati a lei solo nel momento in cui può dar loro piacere.

Subito dopo iniziano a manifestarsi i segni della malattia di Violetta; i commensali non si preoccupano molto per i suoi malori e l'abbandonano in fretta per dedicarsi alle danze, mentre Alfredo rimane da solo con lei e può così dichiararle tutto il suo Amore:




ALFREDO
Un dì, felice, eterea,
Mi balenaste innante,
E da quel dì tremante
Vissi d'ignoto amor.
Di quell'amor ch'è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor.
VIOLETTA
Ah, se ciò è ver, fuggitemi
Solo amistade io v'offro:
Amar non so, né soffro
Un così eroico amor.
Io sono franca, ingenua;
Altra cercar dovete;
Non arduo troverete
Dimenticarmi allor.

Violetta inizialmente ride dell'Amore che proclama Alfredo, ma poi rimane turbata e ribadisce che non sa amare: questa volta però non fermamente come aveva fatto nel brindisi, ma quasi a scatti, esitante; Verdi sottolinea musicalmente che qualcosa dentro di lei è cambiato. Violetta lascia infatti ad Alfredo un fiore che dovrà riportare quando sarà appassito, ovvero l'indomani.
Alfredo parte felicissimo, incosciente (come del resto sarà per tutta l'opera) dei grandi cambiamenti che stanno avvenendo nell'animo di Violetta.
Appena tutti gli invitati hanno lasciato la casa Violetta rimane da sola e non può più evitare di guardarsi dentro e prendere atto di ciò che sta accadendo; l'incontro tra Violetta e la propria interiorità produce uno dei momenti migliori dell'opera:


VIOLETTA
È strano! è strano! in core
Scolpiti ho quegli accenti!
Sarìa per me sventura un serio amore?
Che risolvi, o turbata anima mia?
Null'uomo ancora t'accendeva O gioia
Ch'io non conobbi, essere amata amando!
E sdegnarla poss'io
Per l'aride follie del viver mio?
Ah, fors'è lui che l'anima
Solinga ne' tumulti
Godea sovente pingere
De' suoi colori occulti!
Lui che modesto e vigile
All'egre soglie ascese,
E nuova febbre accese,
Destandomi all'amor.
A quell'amor ch'è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor.
A me fanciulla, un candido
E trepido desire
Questi effigiò dolcissimo
Signor dell'avvenire,
Quando ne' cieli il raggio
Di sua beltà vedea,
E tutta me pascea
Di quel divino error.
Sentìa che amore è palpito
Dell'universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor!

Resta concentrata un istante, poi dice
Follie! follie delirio vano è questo!
Povera donna, sola
Abbandonata in questo
Popoloso deserto
Che appellano Parigi,
Che spero or più?
Che far degg'io!
Gioire,
Di voluttà nei vortici perire.
Sempre libera degg'io
Folleggiar di gioia in gioia,
Vo' che scorra il viver mio
Pei sentieri del piacer,
Nasca il giorno, o il giorno muoia,
Sempre lieta ne' ritrovi
A diletti sempre nuovi
Dee volare il mio pensier.

Violetta scopre in maniera sempre più forte il sentimento che le è nato in petto, capisce che è un'occasione per riscattarsi e per iniziare a vivere davvero.
Mentre descrive l'Amore lo vive, lo respira, ne rimane inebriata, al punto di averne paura e di lanciarsi in un'ultima, virtuosistica  affermazione della sua volontà di non cambiare vita, anche se le poche parole cantate da Alfredo fuori scena fanno intendere che non può più tirarsi indietro: l'Amore l'ha ormai avvolta senza lasciarle scampo.


La traviata - Introduzione

Voglio dedicare alcuni post all'opera che amo di più, La traviata di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, cercando di esplorare insieme questo capolavoro e, se possibile, di togliere una certa svalutazione di cui questa opera soffre insieme con Rigoletto e Il trovatore.

È noto che la prima rappresentazione, avvenuta il 6 Marzo 1853, fu un fiasco a causa di un cast inadeguato, ma che già la ripresa dell'anno successivo, con qualche lieve modifica nella partitura e con un nuovo cast, fu un successo.
Da allora quest'opera è sempre stata una delle più rappresentate e delle più celebri di ogni tempo, ma dobbiamo porci subito alcune domande:

Come ci viene presentata quest'opera?
La versione che siamo abituati ad ascoltare le rende davvero giustizia?

Purtroppo, come tutte le opere più rappresentate al giorno d'oggi, La traviata viene spesso presentata in allestimenti non solo sbagliati e insensati, ma anche a volte ridicoli; per questo è sempre bene, se ci si vuole avvicinare ad un'opera, munirsi del libretto, almeno per avere un'idea chiara di cosa avevano in mente il compositore e il poeta; in questo modo è possibile sviluppare un proprio giudizio critico e valutare i vari allestimenti.
La versione della Traviata che di solito ascoltiamo è piena di tagli, i quali secondo me portano via gran parte della bellezza di quest'opera (basta pensare a tutta la scena finale, partendo dal duetto Parigi, o cara, alla seconda strofa dell'aria del I atto Ah, fors'è lui, alla seconda strofa dell'aria del III atto Addio del passato e alla cabaletta di Giorgio Germont nel II atto No, non udrai rimproveri); cercherò di mettere collegamenti ad alcune esecuzioni integrali delle parti solitamente tagliate ed inserirò i testi delle strofe solitamente omesse.

Bisogna ricordare che Verdi trovò ispirazione per questa sua opera in una versione teatrale de La Dame aux camélias, scritta da Alexandre Dumas figlio nel 1848: un'opera considerata scandalosa, in quanto la protagonista, Margherita Gautier (ispirata alla figura di Alphonsine Plessis, conosciuta come Marie Duplessis) è una mantenuta, una cortigiana.

Marie Duplessis

Il vero motivo dello scandalo suscitato da questo romanzo non è da cercare solo nella protagonista, ma nel fatto che il pubblico borghese venne messo di fronte alla propria ipocrisia; nella storia narrata si nota infatti come la borghesia critichi e rinneghi il mondo in cui di notte ama rifugiarsi e trovare divertimento: una cortigiana può essere la protagonista assoluta della vita notturna borghese, ma di giorno verrà additata con disprezzo anche da coloro che qualche ora prima si stavano divertendo in casa sua, in nome di un perbenismo ipocrita.

Ad aggravare la rappresentazione del mondo borghese sta il fatto che Margherita è capace di amare davvero e di sacrificarsi per amore, e il suo sacrificio è reso necessario proprio dall'idea che la "gente per bene" ha di lei senza davvero conoscerla.
Margherita dimostra di essere l'unica capace di amare davvero (penso che la frase migliore per descrivere questa situazione sia quella usata da Piave nel libretto della Traviata: sola Abbandonata in questo Popoloso deserto Che appellano Parigi); nemmeno Armando (l'Alfredo di Verdi) riesce ad amarla in modo totale, continuando a pensare che lei abbia bisogno ancora di gioielli e ricchezza nel loro pacifico ritiro in campagna, causando così il dolore di lei, che si rende conto di non poter mai liberarsi del passato e soprattutto del marchio che la società le ha impresso indelebilmente addosso.
Per questo penso che una delle frasi chiave dell'opera di Verdi sia questa del II atto:  
Così alla misera - ch'è un dì caduta, Di più risorgere - speranza è muta! Se pur benefico - le indulga Iddio, L'uomo implacabile - per lei sarà

La vera Traviata non è Margherita (o Violetta), ma la società che pretende con ipocrisia di giudicarla e di sostituire addirittura il proprio giudizio a quello divino.

venerdì 18 maggio 2012

Ricordo di Dietrich Fischer-Dieskau


Lo confesso: quando ho ricevuto la notizia della morte di Dietrich Fischer-Dieskau non sono riuscito a trattenere le lacrime.
Questa mattina la Musica si è vista mancare una sua parte importante e fondamentale, perché Fischer-Dieskau non era solo un cantante: era un grandissimo musicista, di un'intelligenza unica; la sua voce e la sua interpretazione possono piacere o meno, ma nessuno che capisca veramente qualcosa di Musica e Canto può negare che avesse una tecnica grandiosa e una grande intelligenza nel dar vita a ciò che cantava.
Il suo vastissimo repertorio va dall'Opera, ai Lieder, alla Musica Sacra, e in tutti i generi che ha affrontato ha dato interpretazioni memorabili. 

Adesso però vorrei lasciar parlare lui stesso:


Eccolo a cantare Auf dem Wasser zu singen di Schubert... questa registrazione mi ha affascinato fin dal primo ascolto, quando ancora non sapevo né chi fosse Schubert, né chi fosse Dieskau; la cosa che più mi colpisce è che ogni volta che la riascolto ritrovo lo stupore per questa voce che canta con una morbidezza incredibile, e in questa morbidezza sento e vedo le onde che scuotono la barca evocata nel testo, sulla quale il protagonista sente il tempo svanire; vengo avvolto dalla melodia e tutte le cose che mi stanno intorno svaniscono dolcemente.


Qui in Erlkönig, sempre di Schubert, riesce a caratterizzare tutti i personaggi (il narratore, il padre, il figlio e il re degli elfi), dando ad ognuno di loro un'identità vocale che li distingue... sembra quasi che non sia sempre lo stesso cantante!


In questa bellissima Serenata di Schubert il suo canto vola veramente come quello dell'innamorato che sta cantando una melodia dolce per la ragazza che ama; rende inoltre benissimo l'impeto pieno di ardore che conclude il Lied.


Qui canta la serenata del Don Giovanni di Mozart con una grande grazia, e soprattutto con una mezzavoce sempre timbrata, a differenza di quanto fatto da molti celebri colleghi. Non penso affatto che la sua interpretazione qui sia troppo romantica: in primo luogo coglie il carattere "leggero" della composizione, una vera e propria serenata cantata dal protagonista ad una cameriera; in secondo luogo penso che Don Giovanni debba usare della grazia per sedurre le donne che desidera, di sicuro non poteva mettersi a berciare, sennò al posto di un bacio si sarebbe beccato una secchiata d'acqua. 


Siamo giunti al genere in cui forse Dieskau è stato più discusso: le interpretazioni verdiane. Si sente sempre gente che afferma che non aveva una voce verdiana... io penso che sia una sciocchezza enorme. Come se una voce nascesse solo verdiana, donizettiana ecc... 
Io penso che un cantante intelligente sappia scegliere le opere adatte alla propria voce, senza bisogno di etichette riduttive e limitanti.
Dieskau è stato grande in Giorgio Germont, Macbeth, Marchese di Posa, Falstaff e Rigoletto.
Purtroppo tutta una generazione di ascoltatori pensa che Verdi vada cantato (o meglio urlacchiato e berciato) in modo pseudo-verista, come per anni si è fatto e ancora si fa in Italia; Dieskau invece ci dimostra in questa registrazione che Verdi può essere cantato con gusto senza che le emozioni vengano perse (anzi, secondo me risultano accentuate da questo canto preciso e morbido), come ha fatto anche Joan Sutherland nella sua registrazione della Leonora del Trovatore.


Qui canta con la moglie Julia Varady lo stupendo duetto del Tabarro di Puccini in tedesco... penso che il video si commenti da solo: due grandi artisti che riescono a rendere benissimo la drammatica situazione di questa coppia in cui è venuto a mancare l'amore, il dramma di quest'uomo che vede sua moglie allontanarsi da lui e che vorrebbe che le cose ritornassero come prima, quando vivevano entrambi felici.
In particolare trovo stupefacente la facilità con cui Dieskau canta l'acutissima frase finale (resta vicino a me... la notte è bella!)


Concludo con un pezzo di musica sacra: un duetto dalla Cantata BWV 140 di Johann Sebastian Bach: qui con la semplicità del suo canto Dieskau esprime una grande e profonda spiritualità.

È giusto ricordare che Dieskau è stato anche un grande insegnante, cosa che non tutti i grandi cantanti riescono a fare.

Una amica questa sera mi ha detto che l'universo è Musica e che Dietrich Fischer-Dieskau ne è parte; è vero, e a me piace pensare alla sua arte e al suo canto come ad un soffio impetuoso, ma allo stesso tempo dolce, che continua a scorrere fra di noi e che ci sarà sempre, perché Dieskau si è reso eterno grazie all'arte e alle emozioni che ci ha lasciato.



domenica 4 marzo 2012

La rivoluzione silenziosa di Renata Tebaldi

Voglio con questo post parlare di un'artista a cui tengo molto, e che purtroppo viene a volte ingiustamente sottovalutata: Renata Tebaldi; soprattutto vorrei dimostrare quanto sia sbagliata l'interpretazione della sua carriera che la vede come una cantante che non ha portato novità nell'Opera: Renata è stata la protagonista di una rivoluzione silenziosa e discreta, che non ha però perso importanza solo perché è stata portata avanti senza scalpore mediatico.

Nel periodo in cui la grandissima Maria Callas portava avanti la sua nota e importante rivoluzione dell'Opera (anzi, prima, perché Renata era già affermata da tempo), la Tebaldi portava avanti una diversissima, ma non meno importante, concezione del canto lirico.
A scanso di equivoci e per non doverlo ripetere più avanti, dico subito che per me entrambe queste concezioni sono state fondamentali per l'evoluzione dell'Opera lirica: io tratterò solo di quella tebaldiana perché l'altra non ha bisogno di un mio contributo, che sarebbe nullo davanti a ciò che hanno già scritto i grandi critici.

Appena capita di ascoltare una registrazione della voce di Renata Tebaldi, la prima cosa che colpisce è la purezza del suono e del canto; un suono pulito, oggettivamente bello, pieno, ben controllato (cosa non facile dato la grande portata di suono della sua voce, testimoniata da chi ha potuto ascoltarla dal vivo e intuibile dalle registrazioni).
Ma la Tebaldi non è solo canto bello, puro e misurato.
Mi sono chiesto tante volte cos'è che mi affascina così tanto nelle sue registrazioni, e dopo tanti ascolti ho capito, ho capito cosa rende unica quella voce, anzi, quella cantante.

Ascoltiamo insieme questa sua registrazione de "La mamma morta" dall'Andrea Chènier di Giordano:

 

Nel suo canto c'è tutto, e non solo tutte le note e tutta la musica, ma anche tutta l'interpretazione: anche se la si sta solo ascoltando è come se lei stesse recitando davanti a noi, è riuscita a sublimare nel suo canto purissimo la recitazione, e questa è una cosa straordinaria: non solo mantiene un livello di pulizia e bellezza sonora, di disciplina nel canto, che solo pochi altri hanno saputo mantenere, ma vi inserisce tutta la sua intelligenza interpretativa che non ha bisogno di artifici per esprimersi: la sua voce varia suoni e dinamiche con naturalezza, senza fastidiosi assottigliamenti troppo artificiali per essere credibili o brutti suoni, sostenendo tutto con l'accento che modella le parole conferendo loro tutta la dimensione teatrale che le rende testo drammatico, e non sola poesia.
Vediamo ora Renata nella stessa aria qualche anno dopo, con anche il supporto del video:


La sua recitazione è misurata, è vero, ma a cosa servirebbe appesantirla di gesti inutili quando col canto sta già esprimendo tutto? 
Dire che Renata fosse statica in scena e che non fosse una grande attrice mi sembra un luogo comune un po' sciocco e sintomo di una visione sommaria dei video che ci sono rimasti delle sue performances.
Prendiamo ad esempio il video della Forza del destino girato nel 1958:


Non manca niente a questa Leonora, né sul piano vocale né su quello della recitazione; una performance va valutata nella sua interezza, è inutile prendere questo video e guardare solo i movimenti del suo corpo tappandosi le orecchie: se si vuol fare questo allora è meglio andare a vedere uno spettacolo di mimo piuttosto che l'Opera. 
L'Opera nasce dall'unione del canto col gesto, è l'unione di due arti, perciò quando si valuta l'interpretazione di un cantante non si può pensare solo al canto o solo al gesto: Renata offre una performance completa, che innesta l'interpretazione sia nel canto che nel gesto, in un'unione che lascia senza fiato per la bellezza e la carica emotiva del risultato.
Questo risultato si può ritrovare in tutti gli altri documenti video che ci sono rimasti, per esempio:


Estrema disciplina nel canto, purezza, bellezza e opulenza, con pianissimi naturali e nei quali il suono non perde mai la sua corposità, non si assottiglia; grandissima carica espressiva, interpretazione che si innesta nel canto senza intaccarlo minimamente: l'unione della più alta espressione musicale della voce con la piena trasmissione della dimensione drammatica del testo.
Questa è stata la rivoluzione silenziosa di Renata Tebaldi.



Metto i link di alcuni ascolti interessanti:









venerdì 3 febbraio 2012

Don Pasquale - Teatro Comunale di Ferrara

Voglio aprire questo blog con la recensione dell'ultimo spettacolo che ho visto: Don Pasquale al Teatro Comunale di Ferrara, che è andato in scena il 20 e 22 Gennaio.
Ho visto la prova generale aperta che si è tenuta il 18 Gennaio, e devo dire che ne è valsa davvero la pena. Iniziamo con la locandina:

Don Pasquale

Dramma buffo in tre atti
libretto di 
Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
musica di 
Gaetano Donizetti
Interpreti principali

Norina
 Laura Giordano
Don Pasquale
 Andrea Concetti
Ernesto
 Daniele Zanfardino
Dottor Malatesta
 Roberto De Candia
Un notaro
Gian Luca Tumino
 
Orchestra di Padova e del Veneto
direttore 
Sergio Alapont
Voxsonus Choir
maestro del coro
 Alessandro Toffolo
 
regia Italo Nunziata
scene e costumi 
Pasquale Grossi
disegno luci 
Patrick Latronica
 
coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Teatri e Umanesimo Latino S.p.A.
allestimento
Fondazione Teatro La Fenice di Venezia

Devo confessare che conoscevo i cantanti e il direttore solo di nome, e quindi non avevo la minima idea di cosa aspettarmi; la platea inoltre era riempita in buona parte da classi scolastiche e temevo potessero dar vita ad un brusio di chiacchiere continuo.
Ho dovuto presto ricredermi: i ragazzi sono stati educatissimi, e sembravano sempre coinvolti dal magnifico spettacolo, che non ha mai avuto un momento fiacco o meno brillante del resto della rappresentazione.
Non sembrava una prova: lo spettacolo non è mai stato interrotto per errori, i cantanti hanno cantato in voce e ci sono stati applausi a scena aperta e alla fine degli atti.
Durante la Sinfonia sul palco c'è stata una recitazione continua che però non distoglieva l'attenzione dalla musica, anzi, era in armonia con essa. L'azione era ambientata negli anni '30 del '900, nella fabbrica di "Manifatture Da Corneto" (naturalmente di proprietà del protagonista Don Pasquale da Corneto), la cui insegna sarebbe di lì a poco diventata "Manifatture da Corneto e Figli", dopo l'annuncio del Dottor Malatesta di aver trovato una moglie per il proprietario. Da quel momento in poi sul palco si è potuta ammirare una scenografia dai colori vivi e molto piacevoli, e una sapiente regia che ha dato il giusto valore a questo capolavoro di Donizetti: non si sono visti fronzoli inutili o gag vecchie e di cattivo gusto, ma un movimento sempre vivo e frizzante, ma mai caotico, e sempre in armonia con la musica e il libretto. Dal punto di vista scenico è stato uno degli spettacoli più belli che ho potuto vedere in teatro.
Ma ora passiamo alla parte musicale, che è stata altrettanto piacevole e stupefacente.
Parlo subito dell'unica cosa della parte vocale che all'inizio non mi piaceva: l'Ernesto di Daniele Zanfardino nei primi due atti non mi convinceva e suonava un po' stretto e stridulo, ma non imputerei questa mancanza ad un problema di tecnica, in quanto si è ampiamente rifatto nel terzo atto, a cominciare dalla sua bellissima interpretazione di Com'è gentil; dobbiamo sempre tener conto che era una prova e che magari nelle recite ha saputo essere fin dall'inizio piacevolissimo e convincente come nell'ultimo atto.
In generale tutti i cantanti di questo cast si sono dimostrati dei grandi attori, abili, simpatici e spigliati.
La Norina di Laura Giordano, oltre ad avvalersi di una voce molto bella e di una buonissima tecnica, può contare su una grande capacità di espressione che unita alle sue doti di attrice dà al personaggio il giusto brio e il giusto spessore, facendolo spiccare sul palco: è la dimostrazione che con lo studio si può unire la perfetta esecuzione vocale con una coinvolgente recitazione e che assolutmente l'una non esclude l'altra (sempre che si stia parlando di veri artisti, e la Giordano dimostra di esserlo).
Roberto De Candia è un grande Dottor Malatesta, sia nelle parti solistiche che nei duetti e nelle scene d'insieme; anche lui ha sfoggiato maestria nella recitazione usando benissimo la sua grande voce.
Il Don Pasquale di Andrea Concetti non ha cercato di copiare dagli altri grandi interpreti del ruolo, ma anzi ha saputo con originalità porsi con merito fra di loro: sempre convincente, qualsiasi intonazione dovesse dare al personaggio, e mai caduto in effettacci che possono andare contro il canto o contro un'interpretazione realistica. 
Molto piacevole anche il Notaro di Gian Luca Tumino.
L'Orchestra di Padova e del Veneto ha suonato molto bene, anche se a volte un po' troppo forte per il piccolo Teatro di Ferrara, rischiando in alcuni passaggi di coprire le voci; voci che Sergio Alapont ha saputo seguire benissimo (e con questo non voglio dire che la sua direzione sia stata impersonale o mero accompagnamento; al contrario ha saputo unire un'esecuzione orchestrale viva e brillante con il rispetto per i cantanti, qualità che sta andando sempre più perdendosi). Molto bene anche il Voxsonus Choir, molto partecipe all'azione che si svolgeva sul palcoscenico.
Insomma, è stata una recita splendida, una di quelle occasioni che dimostrano che l'epoca d'oro del Melodramma non si è assolutamente estinta.

giovedì 2 febbraio 2012

Si apre questo blog dedicato all'Opera lirica

Do il benvenuto a tutti gli appassionati di Opera che vorranno seguire questo nuovo blog!
Il mio intento è quello di creare uno spazio in cui saranno proposte recensioni di spettacoli visti dal vivo e di registrazioni, ma anche uno spazio dove poter parlare dei cantanti di ieri e di oggi, e soprattutto del canto; proprio per questo motivo ho scelto di chiamare il blog "Voce piena d'armonia" (citando l'aria La mamma morta, da Andrea Chénier di Umberto Giordano). Spero che si potrà creare uno spazio piacevole.

Vi saluto e vi aspetto numerosi per i prossimi post!