"In sostanza Renata Tebaldi ripristinò il lirismo, l'abbandono patetico, la linea vocale vincolata al canto "legato", il fraseggio nel quale le smorzature e i pianissimi avevano lo stesso peso espressivo dello scoppio di voce tornitruante. Tutto questo fu a volte scambiato per edonismo ed è probabilmente la più grave ingiustizia subita dalla Tebaldi durante la "querelle"."
(Rodolfo Celletti, La grana della voce)
Questo articolo si ricollega
al mio post precedente che parlava dei numerosi saccenti presenti in rete che si sentono depositari unici dei segreti del canto e che invece parlano solo per sparare luoghi comuni o giudizi critici personalissimi e senza nessun contatto con la realtà, vendendoli come verità assolute e provate.
In particolare in questo post parlerò di Renata Tebaldi, in quanto mi sono accorto che su internet va molto di moda svalutarla senza avere una minima idea di cosa sia il suo canto.
Questa moda penso sia iniziata ai tempi delle rivalità tra fan; ora, calmate le ire e le agitazioni proprie di quel periodo, penso sia giunto il momento di guardare i fatti con oggettività.
1. Primo luogo comune da smontare: "ha avuto un repertorio limitato"
Falso
Il repertorio di Renata Tebaldi comprende i seguenti compositori (parlando solo di opere e lavori di musica sacra integrali e affrontati dal vivo): Bach, Boito, Casavola, Catalani, Cilea, Giordano, Gounod, Haendel, Mascagni, Mozart, Pergolesi, Ponchielli, Puccini, Refice, Rossini, Spontini, Čajkovskij, Verdi, Wagner.
Da notare che il repertorio comprende lavori barocchi e di compositori come Cilea, Casavola, Spontini e Refice, non così facili da trovare nei repertori delle colleghe contemporanee.
2. Secondo luogo comune: "Non sapeva fare le agilità"
Falso, e lo sentiamo subito dalla sua voce accompagnata da due testi di Celletti riguardo le sue interpretazioni dell'Assedio di Corinto di Rossini e del Giulio Cesare di Haendel:
"[...] Proprio in "Da tempeste il legno infranto", la Tebaldi rivela una notevole predisposizione al canto d'agilità e lascia udire alcuni picchettati che sembrano bolidi, come volume, rispetto a quelli normalmente eseguiti dai soprani di coloratura."
"Nella preghiera dell'Assedio di Corinto di Rossini udiamo la stessa espressione estatica, la stessa continuità di legato, la stessa morbidezza e duttilità delle più reputate vocaliste rossiniane del 1960-1980, con in più la straripante ricchezza di armonici e di smalto che la voce della Tebaldi possedeva."
La lettura di questi testi, e soprattutto l'ascolto di questi due brani, ci ha preparati ad affrontare il punto su cui più si accaniscono i fieri sostenitori di luoghi comuni; un punto in cui unirò le più pesanti ed insensate critiche che, guarda caso, sono le più diffuse, il punto
3.
"non sapeva fare gli acuti", "spingeva ed ingrossava le note centrali e quindi non riusciva ad andare sugli acuti", "cantava in maniera verista", "è stata un soprano che ha seguito la scia dei soprani precedenti, non ha fatto niente di nuovo", "aveva solo una bella voce", "
non aveva tecnica ed ha cantato bene solo fino a quando era giovane e la natura ha retto".
Ho voluto riunire tutte queste scemenze (simbolo di così grande ignoranza che mi sono vergognato persino a trascriverle) per discuterle tutte insieme; ci sarebbero infiniti esempi da portare e parole da dire, ma preferisco fare un discorso unico per non rischiare di annoiare i miei gentili lettori.
Facciamo un passettino indietro e ripensiamo ai due brani che ho postato sopra: l'agilità, il rispetto dello stile dei compositori, la limpidezza della voce, l'uguaglianza dei suoni in tutta l'estensione, i picchettati precisi e fatti con una voce di tale dimensione (non dimentichiamoci che la voce della Tebaldi era enorme dal vivo, e le voci grandi sono anche le più difficili da gestire), metterebbero già da sole fuori gioco le affermazioni sulla scarsa tecnica, sul verismo del suo modo di cantare, sul fatto che non fosse innovativa e sulla pretesa che ingrossasse la voce. Le agilità e i picchettati non si fanno se si ingrossa la voce, e anche il fatto che avesse voce enorme in teatro confuta questa ipotesi, dato che più si ingrossa la voce e più essa perde brillantezza, chiarezza, espansione e potenza.
Ma vediamo anche cosa dice Celletti ne
La grana della voce:
"La Tebaldi restituì al tardo Verdi, a Puccini e anche a qualche autore verista una proprietà che era praticamente scomparsa nel ventennio precedente e riportò i relativi personaggi alle loro giuste dimensioni. Che non erano quelle di furenti emule dei soprani drammatici wagneriani, ma di eroine i cui scatti passionali erano momenti d'eccezione, non stato d'animo permanente."
L'equivoco sui suoi acuti è grande: per prima cosa sarebbe il caso che tutti capissero che la tecnica serve a sfruttare al massimo e al meglio la propria estensione vocale, ma che non ne crea una nuova. Ognuno ha la propria estensione vocale, e comunque non vedo dove sia il problema nel caso della Tebaldi: è un soprano lirico e arriva al do. Le note più acute serviranno ai soprani lirico-leggeri, ma non ai lirici.
Per far notare ulteriormente, anche se non dovrebbe essercene bisogno, che è un'idiozia affermare che spingesse gli acuti propongo un confronto: in questo duetto si può sentire come, mentre la Tebaldi canta basandosi su una salda tecnica, il tenore che sta cantando con lei spinge e schiaccia le note medio acute e acute, con effetto davvero fastidioso. Lui è quello che ha basato la carriera solo sulla bella voce e su poca tecnica, che cantava alla "verista", non la Tebaldi:
Quanto alla durata della saldezza tecnica del suo canto ascoltiamo questo pezzo dalla Giovanna d'Arco:
Qui è strabiliante... nel 1964, a venti anni dal debutto, la
voce è ancora fresca e meravigliosa, uguale e corposa dalle note gravi a
quelle acute, senza assottigliamenti, con la capacita di sfruttare tutte
le intensità, dal piano al forte, sia nelle note medie che in acuto.
Dieci anni dopo, quindi dopo trent'anni di carriera, cantava ancora così:
La caratteristica di Renata Tebaldi era che poteva mantenere una voce omogenea per tutta l'estensione, ma poteva anche modularla e passare dal pianissimo timbrato al forte mantenendo inalterata la corposità della propria voce. Mi dispiace per i detrattori ma questo modo di cantare può solo arrivare da una grande tecnica di canto, non ce la si può fare con la sola natura. Aveva una gestione del fiato grandiosa, e lo si sente quando riesce a sostenere tempi molto lenti, come in Alfredo, Alfredo di questo core nella Traviata radiofonica diretta da Giulini, oppure in questa Tosca:
Tutto questo lo faceva pronunciando: la pronuncia è fondamentale nel canto, ma alcune sue colleghe e molti cantanti contemporanei se ne dimenticano e pensano che cantare sia solo produrre suoni.
Le caratteristiche della sua voce la rendevano particolarmente adatta alle opere pucciniane, dove grazie all'ampiezza della gamma di suoni che sapeva produrre dava vita a momenti magnifici ed ineguagliati.
Sentite qui lo struggimento di "
ed io venivo a lui tutta dogliosa", come canta pronunciando a fior di labbra, e sentite soprattutto "
egli vede ch'io piango", che attacca piano e poi rinforza fino a produrre un'ondata di suono (altra cosa che senza tecnica è impossibile fare):
Spero di non essermi dilungato troppo, e spero soprattutto che questo post sia utile a chi ha voglia di scoprire una grande cantante senza pregiudizi (che poi può piacere o meno, quella è questione di gusto personale).